Diario dal Peru’ Ermanna e Peppino dal 20 ottobre al 10 novembre 2009 prima e seconda parte
|
Partenza da Sedriano
Sono le tre e mezza e suona la sveglia. Peppino si alza quasi per primo e subito avverte un dolore forte alla gamba sinistra. Non riesce a stare in piedi! Panico per tutti e due. Ci si prepara sperando che il dolore passi, ma invano. Poi Peppino dice: “Andiamo”. Ad accompagnarci c’è il nostro amico Gigi che mi aiuta in tutte le incombenze all’aeroporto. Allo sportello della KLM chiedo l’assistenza per il trasporto interno agli aeroporti e ci viene accordata. Dopo una telefonata a Suor Dalmazia sul da farsi, ne seguo i consigli e il viaggio prosegue. Atterriamo finalmente a Lima. La mattina dopo Don Antonio lo porta al pronto soccorso. Diagnosi: strappo muscolare. Una iniezione, analgesici, controllo a casa del giorno dopo. Attualmente il male è regredito, ma non sparito. Questa situazione non ci condiziona più di tanto perché qui si viaggia sempre in taxi al prezzo di mezzo euro per corsa!
Manca una carta Siamo stranieri per il Perù e così al controllo finale manca una “carta”. Per fortuna la possiamo compilare al momento e tutto si risolve. Le valigie arrivano naturalmente per ultime e fuori dall’aeroporto di Lima non vediamo Don Antonio, ma ci vengono incontro Don Abelardo e altri sacerdoti che ci hanno riconosciuto grazie anche alle nostre foto riportate sul sito: www.sullarcadinoe.it Guida il pulmino Paulo, l’autista del vescovo, che ci porta al Seminario in attesa di Don Antonio che nel frattempo era andato in ospedale per ritirare il referto di un esame importante. Il seminario, non pensate a quello di Seveso o Venegono, e’ un caseggiato tipo condominio, in centro a Lima. L’atmosfera e’ cordiale e famigliare. Ci servono un tè che sa di camomilla con dei biscotti squisiti fatti dalla cuoca, ma il pensiero fisso di don Antonio che non arriva ci fa impensierire. Subito Padre Abelardo se ne accorge e si decide di andargli incontro in ospedale. Appena girato l’angolo ci arriva la telefonata che e’ tornato e che ci aspetta. Lo vedo sorridente e radioso: “Sono stato promosso! Un vero miracolo”. L’emozione e’ tanta e subito decide di andare in chiesa a ringraziare il Signore e siccome la chiesa e’ dedicata a Sant’Antonio ringraziamo anche lui. La prima serata da Lima ad Huacho
La città di Lima nel centro è come Milano, poi negli altri quartieri sembra una città orientale con grandi insegne illuminate. Il traffico delle sei e’ caotico. Verso la periferia tutte le luci si spengono ma la città continua sulle colline in un incredibile scenario natalizio, un presepe vivente, che mi concilia il sonno, mentre continua la recita del rosario con le litanie in latino. Si arriva a Huacho verso le quattro del pomeriggio, in sostanza sono ventiquattro ore dalla partenza. Peppino ed io siamo storditi e non riusciamo nemmeno ad accettare l’invito del vescovo di fermarci a cena. Non vedevamo l’ora di arrivare a casa di don Antonio. Primo giorno da Peruviani
Peppino non può guidare e il don sono sei mesi che non guida, ma si parte lo stesso con il fuoristrada della parrocchia. Di Pacifico l’oceano ha solo il nome perché onde fortissime lambiscono il litorale e le barche e i pescherecci ormeggiati. La spiaggia che vediamo e’ pronta per l’estate con piscine all’aperto, campi da gioco ed anche un palco per gli spettacoli. Di fronte all’oceano piccole chiesette. Una di queste, fatta edificare da un oriundo siciliano, ricorda lo scampato pericolo di uno tsunami. Un'altra intitolata “Stella Maris” era aperta perché una signora la stava preparando per la messa settimanale delle 19. Dal fruttivendolo che sostava lì davanti ho comperato un po’ di frutta e verdura. Per le strade del porto tanta gente in movimento, non per turismo, ma lavoratori, pescatori, qualche ristorante all’aperto, muratori e lavori stradali e di consolidamento. Il Presepe vivente
Si riparte per vedere da vicino il “presepe vivente”. Le strade sconnesse le avevo gia’ viste in Mozambico, ma qui tra dossi moderni e non, buche, lavori stradali e le strade in salita verso le colline di sabbia mi davano la sensazione di essere sull'autoscontro. Le capanne africane col tetto di paglia avevano e hanno tanto verde attorno, qui sono meno romantiche, senza verde attorno, squadrate e allineate sulla collina, da sembrare disegnate e colorate con poco colore dai bambini. Tutto cambia arrivati in cima alle collinette perché lo sguardo si allarga su un panorama mozzafiato. L’oceano ruggente scava insenature geroglifiche e il silenzio del deserto ti dà la sensazione di sentire le voci dell’universo. Il don fa notare che su alcune colline, forse tappe di altri culti religiosi, ci sono delle croci con simboli ,cristiani e non, che vengono portate anche in lunghe processioni su e giù per il deserto. I pranzi Qui dal don i pranzi sono sempre occasione di incontro con altre persone. La cena è invece frugale, magari con i resti del pranzo e sul piatto per il don c’è il promemoria di Carmen, la cuoca che lavora fino alle cinque: ”Per il don, senza sale”. Il menu’ varia: se ci sono preti italiani allora e risotto alla milanese e ossi buchi, per i preti peruviani la pasta asciutta e il cebiche, ma non chiedetemi la ricetta. Ripartono tutti sorridenti e rilassati. Il segreto sta nel clima di famiglia che il don cerca di instaurare sempre. Don Antonio
“Sono stato promosso” dice a tutti quelli che manifestano apprensione per la sua salute, ma loro insistono con parole e gesti affettuoso di riguardarsi. Un po’ ha rallentato se non altro per farci compagnia. Segue una dieta senza sale e poca acqua e così e’ visibilmente dimagrito, ma è sereno ed attivo quanto basta. La sua casa, con giardinetto, e’ adiacente ad altre casette unite tra esse da un muretto lungo tutta la via, non asfaltata. Arredata in modo spartano e’ però molto funzionale. Se poi e’ lui ad aprire allora sembra una reggia. Cenetta finale Don Antonio mi presenta come “hermana” che significa sorella o suora. Poi presenta il cognato Peppino, che significa “signore” “don”. Immancabilmente si fanno ripetere il mio nome. E io rispondo Ermanna con due “ enne” e tutti si divertono a ripetere la pronuncia con due enne.
|
cronista Peppino Visita alla fattoria con una simpatica famigliaInvitati da una famiglia di amici di don Antonio, andiamo a pranzo non molto lontano da Huacho, in una fattoria con tanto di mucche, cavalli, asini, cani, conigli e chi più ne ha più ne metta. La compagnia è piacevole, le persone simpatiche e il pranzo e’ di ottime specialita’ peruviane. La famiglia si compone di 6 persone: il papa’ che si occupa dell’azienda, la mamma, che fa la maestra e quattro figli, tre femmine e un maschio. Si passano alcune ore in compagnia e poi i due figli maggiori, una ragazza di 14 anni e un “chico” di dodici se ne vanno in paese a “fare le prove”. La mamma spiega che il giorno dopo, domenica, ci sarà un grande spettacolo di danze a livello nazionale di ballerini dai 3 ai 18 anni e i suoi figli maggiori si esibiranno. Insiste perché anche noi vediamo queste esibizioni. Promettiamo di esserci. Visita da padre Carlos e i seminaristi Oggi e’ domenica. Dopo la Messa in Cattedrale, andiamo a Huaura dove saremo ospiti dell’amico Padre Carlos, conosciuto l’estate scorsa in Italia, quando venne a Leggiuno sul Lago Maggiore per un mese di studi con il confratello Padre Abelardo. Scopriamo qui in Perù che abbiamo accompagnato in giro per la Lombardia due rettori di seminario, Padre Abelardo a Lima, Padre Carlos a Huaura. L’incontro e’ festoso e viene celebrato con un caloroso abbraccio. Padre Carlos ci fa visitare il Seminario, molto bello, costruito recentemente e inaugurato dal Card. Tettamanzi. Usciti nel cortile ci si ritrova in un grande cantiere edilizio per una chiesa e un’altra ala per i vari spazio che necessitano al seminario. Ci vorrebbero qui Gelmini e Bruno e quindi scattiamo foto del cantiere. Ci offre un pranzo a base di pesce,il “lenguado” che è ottimo, e tante altre verdure andine. Alla fine un complesso musicale formato da alcuni seminaristi ci allieta con musiche delle Ande. Il suono dei pifferi sovrapposti che ben conosciamo anche in Italia ci fa sentire i brividi. Ricambiamo con due palloni da calcio che gli studenti apprezzano molto. Con padre Carlos rievochiamo le passeggiate estive, tra cui la visita al San Carlone di Arona. Bandurria: sito archeologico praticamente in casaSi riparte un pomeriggio con don Antonio al volante, è da molto tempo che non guida perché qui in città ci si può muovere con i taxi, alcuni dei quali autentici catorci, al modico (per noi) prezzo di 2 soles a corsa che corrispondono a circa 50 centesimi di euro. Ci sarebbero anche delle motocarrozzette molto pittoresche, ma il don ce li ha sconsigliate. Ne proveremo una nei giorni seguenti quando visiteremo la bellissima località di Sayan, in tempo per apprezzare il consiglio… Con don Antonio non sai mai cosa aspettarti, ma alla fine ne vale sempre la pena. Ci porta poco fuori Huacho, in pieno deserto, con un sole finalmente caldo, quasi fastidioso. Davanti a noi l’oceano Pacifico oggi stranamente pacifico davvero. Lo guardiamo dall’alto, abbagliati dal colore blu. Alle nostre spalle il sito archeologico di Bandurria con scavi tuttora in corso ci ricorda che questa zona era abitata già oltre tremila anni prima di Cristo. Un posto incantato, a mio parere, che ci fa venire qualche brivido quando la giovane “guida”, Dario, che partecipa ai lavori e che si e’ offerto di accompagnarci nel percorso guidato, ci dice che hanno ritrovato poco tempo fa i resti di tre persone sacrificate agli dei del tempo. Ci dicono anche di visitare il ben più noto sito di Caral, ma non so se troveremo il tempo. Certo non ci aspettavamo di trovare un sito archeologico praticamente in casa… Si torna in Huacho a visitare la casa delle suore che vivono nel barrio “Invasione”. Tanti bambini che gioiosamente giocano a calcio proprio in mezzo alla strada , però la nostra fuoristrada riesce a passare. Le suore ci mostrano il loro refettorio per bambini e mamme malnutrite, un loro progetto che si realizza con l’aiuto di due volontarie cuoche e finanziato anche da benefattori italiani,tra i quali i podisti di greco, il tutto molto bello, pulito e funzionale. La direttrice del refettorio, una vulcanica signora peruviana, si lamenta che non hanno fondi per acquistare un tanque da mettere sul tetto per conservare l’acqua che qui arriva con le autobotti, mentre la corrente è il primo servizio che viene erogato dal Comune. Don Antonio, sempre concreto in questi casi, mi guarda e poi con un gesto chiarissimo mi invita a provvedere. Eseguo immediatamente e il sorriso della signora e’ qualcosa di impagabile… Riportiamo a casa le suore. Questa volta i bimbi hanno finito di giocare a pallone, ma la strada e’ impraticabile per il nostro fuoristrada perché ora sono gli adulti a giocare a pallavolo con tanto di rete nel bel mezzo della strada. Pazienza. Salutiamo le suore e torniamo a casa a prepararci per una cena con il gruppo dei discendenti degli italiani che frequentano il corso di italiano, diretto da don Antonio. Una bella serata con cena a base di lasagne con megatorta finale in onore di Ermanna che il giorno seguente compirà gli anni. Gli amici lo hanno saputo e hanno provveduto. Si finisce la serata cantando belle canzoni di una volta che da noi ormai si sentono raramente, ma qui vanno forte: “Volare, Non ho l’età, Mamma, Al di là, ecc.”. Stranamente ho cantato anch’io, maltrattando non poco le canzoni. Pizza con don Ambrogio, Pilar e Massimo
Oggi e’ il compleanno di Ermanna. Qui ormai lo sanno tutti. Il vescovo, monsignor Antonio Santarsiero, italiano di Potenza, decide di celebrare una “messa di compleanno” per la mia amata mogliettina. Qui si usa celebrare queste ricorrenze in questo modo. Avevamo assistito il giorno prima a una cerimonia analoga in onore dell’alcalde (il sindaco) di Huacho. Una cosa mai vista: la cattedrale strapiena, la messa molto partecipata e alla fine almeno sette - ottocento persone hanno reso omaggio all’uomo politico che li aspettava in prima fila davanti all’altare. Strette di mano e abbracci a non finire. Penso che una accoglienza così i nostri sindaci se la possano solo sognare. Lasciamo il sindaco con i suoi elettori e ci trasferiamo al ristorante “La Mafia”. Il nome la dice lunga sulle origini del proprietario, un simpatico e baffuto signore che abbraccia don Antonio chiedendo: “Come sta il malatino?” e ci stringe vigorosamente la mano. Il locale è in posizione strategica davanti al mare, che però non si vede molto, data l’ora tarda. Ci attendono don Ambrogio, parroco della chiesa dì Jesús Divino Maestro, insieme con il cooperante Massimo, brianzolo, con la sua fidanzata Pilar. Ottima serata conviviale con bruschette quasi all’italiana e due pizze giganti veramente buone. Mi accingo a regolare il conto, ma i nostri amici mi fermano. C’è una borsa tipica, coloratissima, artigianato del popolo del giunco, progetto italo peruviano “Tejesol”, per Ermanna dono di don Ambrogio, Massimo e Pilar, ma, dulcis in fundo, salta fuori una megatorta che fa brillare gli occhi alla festeggiata che non ne può più di assaggiarla. Anche la torta e’ un regalo dei nostri amici per “ Ermana, scrive Pilar, che sta imparando un poco l’italiano. Per finire il titolare del ristorante ci offre pure un limoncello. Meglio di così… Barranca fino al mare
Decisamente dobbiamo essere simpatici a sua eccellenza mons. Antonio Santarsiero, vescovo di Huacho perché ci giunge dall’arcivescovado un invito a essere pronti , insieme a don Antonio, per una escursione a Barranca, cittadina di mare, a circa 50 chilometri da Huacho. Si presenta l’autista, Pablo, a bordo di un fuoristrada “Nissan” molto elegante e, in compagnia del vescovo e alcuni seminaristi molto giovani, si parte. Raggiungiamo la famosa Carretera Panamericana,che corre appena fuori città e ci dirigiamo verso Nord. La strada e’ perfetta, ben asfaltata, a tratti a due corsie per senso di marcia, con lunghi rettilinei che invitano alla velocità, ma Pablo mi dice che e’ meglio non esagerare perché le pattuglie della polizia stradale, piazzate nei punti strategici, eseguono controlli scrupolosi e le infrazioni per alta velocità comportano sanzioni pecuniarie che possono arrivare fino a oltre 400 soles (circa 100 euro) che sono una cifra veramente esorbitante per i lavoratori peruviani. E’ anche vero che la multa la pagherebbe monsignor vescovo, quale intestatario di tutte le macchine che vengono usate anche dai missionari della diocesi, ma è meglio non dare di questi problemi. Si arriva a Barranca, città con strade strette e intasate dal traffico dei famigerati moto taxi che imperversano dappertutto e per i cui guidatori il codice della strada e’ un optional. Ci aspettiamo di visitare la chiesa e la casa del parroco, ma Pablo si dirige nel garage del signorile albergo Chavin. L’hotel e’ fornito pure di piscina all’aperto con acqua non molto fredda, ma e’ meglio girare alla larga. Entriamo preceduti da sua eccellenza che viene accolto con tutti gli onori dalla titolare, una signora minuta dall’eloquio torrenziale e da tutto il personale. Il vescovo si siede a capotavola e ordina per tutti. Un pranzo veramente ottimo a base di pesce “Lenguano” e poi ci viene servita una sorta di limonata, agrodolce, squisita adatta a bevanda per il pranzo. Veniamo congedati dal vescovo che si ritira invitandoci a visitare le spiagge locali. Portati da Pablo, arriviamo in una spiaggia ancora non molto frequentata perché la stagione è all’inizio, ma l’abbondanza di bar, ristoranti e alberghi, anche con piscina, lascia pochi dubbi sull’affluenza di turisti durante la stagione balneare. Il Pacifico non e’ molto arrabbiato, ma le onde sono abbastanza alte per alcuni surfisti che scivolano sull’acqua. La baia e’ molto ampia ed e’ divisa a metà da un promontorio dominato in cima dalla mastodontica statua di Cristo Redentore, ideale per scattare foto. Il posto oggi non è molto frequentato e quindi è a nostra disposizione per guardare dall’alto il Pacifico e avere una piccola idea della sua vastità. Torniamo in città, per le strade ci sono segni del passaggio della processione del Senhor de los Milagres: disegni floreali per terra e tanti altari celebrativi davanti alle case. Monsignore e’ pronto e quindi si torna a casa con un invito per un pranzo nella sua casa, appena possibile, prontamente accettato.
Acos sulle montagne con brivido
Siamo tutti e tre invitati dal vescovo per una escursione sulle Ande nella località montana di Acos tra le montagne selvagge della Cordigliera Andina. Questa volta è Don Antonio che non può venire con noi. Si salirà fino a 1500 metri e i dottori glielo hanno proibito. La compagnia è composta dal Vescovo, con grande sombrero di paglia, la direttrice di casa del vescovo, la napoletanissima suor Marianna dall’eloquio inconfondibile, due suore italiane che sono qui per aprire una casa a Pativilca, 60 km. a nord di Huacho, alcuni giovani seminaristi e noi due. Al volante il nostro amico Pablo al quale chiedo come sarà la strada. Mi risponde che sarà buona per circa la metà, il resto sarà sullo sterrato. Omette, bontà sua, di dire che ci saranno degli strapiombi da mozzare il fiato, ma di questo me ne accorgerò da solo, per di più proprio dalla parte dove sono seduto. A Huaral si aggrega un’altra macchina guidata dal decano padre Leandro con a bordo il vicario episcopale padre Alexandre e un gruppetto di altri giovani seminaristi. La strada è discretamente asfaltata per cui possiamo correre un pochino, ma, di colpo, compare lo sterrato e ci accorgiamo di essere in mezzo ad altissime montagne brulle, con enormi massi alle pendici che sembrano incollati, ma danno l’impressione di cadere da un momento all’altro. La strada serpeggia ai bordi dei monti, a fondo valle scorre il fiume Chancay ricco di trote. Per fortuna il traffico è scarso, ma le curve cieche abbondano e Pablo deve lavorare molto di volante e di clacson per segnalare il nostro passaggio. Si continua così per un’ora, il sole è caldo, il Vescovo è un affabile conversatore e il paesaggio selvaggio fa il resto, quando mi accorgo che la macchina ha rallentato molto e credo di aver intravisto Pablo farsi il Segno di Croce. Improvvisamente capisco il perché: stiamo per passare un tratto strettissimo, naturalmente in curva continua, dove un veicolo come il nostro passa millimetricamente. Lo strapiombo è proprio sotto di me e mi affascina, ma un brivido mi assale e mentre Ermanna si preoccupa, lei che è dalla parte della montagna, guardo in basso e penso già che dovremo ripassare di qui al ritorno, sperando che non sia buio. In breve: sono stati i duecento metri più lunghi della mia vita. Finalmente arriviamo. Il paese è piccolo, selvaggio, ma grazioso, e ci sono pure alcuni negozi per le popolazioni che abitano più in alto, ma molto in alto: ci sono persone fin quasi ai 4.500 metri. Ci accolgono tre suore, insieme con il parroco e il coadiutore. Le loro case sono molto belle con un giardino fiorito. La zona dispone di una agricoltura sviluppata, specialmente per la frutta, in massima parte ottime mele che vengono esportate. Il Vescovo dà la libera uscita ai seminaristi che se ne vanno alle terme con acqua calda, a quasi un’ora di viaggio da qui ma, particolare non trascurabile, a circa 3000 metri. Torneranno dopo due ore felici e contenti. Il parroco, padre Rolando, dal sorriso solare, ci mostra la sua casa, pulita e ordinata, il suo computer, che però non ha internet, e ovviamente qui non c’è copertura per i cellulari. Un filmato nel computer ci mostra padre Rolando nei suoi spostamenti nella sua vastissima parrocchia. Lo vediamo tra una processione e l’altra ed anche danzare sulla neve del monte più alto della zona, 5200 metri. Tornano i seminaristi, si va a tavola. Suor Marianna ci delizia con i suoi manicaretti, le suore con le loro specialità quindi il Vescovo ci ordina di andare a riposare. Deve ascoltare i padri e le suore, era venuto qui per questo. Il tempo passa, alle 18 sarà buio. Io sto pensando alla strettoia. Speriamo di partire con l’ultima luce. Non sarà così. Il Vescovo si prende tutto il tempo necessario, poi quando mancano pochi minuti alle 18 e il sole si è nascosto dietro i monti si parte. Per tirarci su il morale Sua eccellenza ci dice che è meglio partire all’imbrunire perché di notte ci potrebbe essere pericolo di assalti da parte di malintenzionati. Guardo fuori e vedo solo buio pesto. Forse ha voluto prenderci un po’ in giro. Pablo accende il motore. L’altra macchina ci precede di qualche minuto e passerà prima di noi nella strettoia. Finalmente giungiamo al punto critico, Pablo fa di nuovo il segno di croce e la macchina fa il resto egregiamente, ma Ermanna, che è dalla parte dello strapiombo, mi guarda con occhi indefinibili, guarda solo verso l’alto e, siccome è buio, la paura è inferiore perché non vede. Poi si tira un sospiro di sollievo quando la strada di nuovo si allarga. Per ringraziare dello scampato pericolo viene detto il Rosario. A casa si arriva verso le otto, dopo 170 chilometri, gli ultimi dei quali percorsi sulla panamericana, dove Pablo è costretto a compiere dei veri e propri slalom, tra macchine e camion che viaggiano sulla corsia di sorpasso e non si schiodano anche se dietro arrivano macchine più veloci, quindi sorpasso a destra e via. Sembra che sia la normalità. Mah! Peppino
|
Cronista Peppino
|
Pranzo a casa del Vescovo
Sabato, dopo un intenso mattino a fare shopping per le vie del centro di Huacho, andiamo a pranzo in arcivescovado. Suor Marianna ci fa trovare perfino un antipasto a base di insalata e tonno seguito da una spaghettata degna di questo nome e da pollo cucinato in tre modi diversi. La conversazione del vescovo, mons. Antonio Santarsiero originario di Potenza, brillante e spiritosa, tocca diversi argomenti e così si arriva al dessert: panettone e torrone di produzione locale accompagnati da un ottimo rosso, questo italiano, che è spuntato dalla dispensa vescovile. Siccome qualche nostro commensale, eravamo in nove, preferiva bere una sorta di aranciata, io e monsignore ci siamo adattati a onorare il vino campano. Nel congedarci sua eccellenza ci saluta con una battuta fulminante. Riferendosi a don Antonio, che deve seguire una dieta ferrea: niente pane, vino, men che meno dolci, solo pollo bollito e verdura, rigorosamente senza sale, sbotta: “Certo, don Antonio, che il tuo medico ti ha dato più penitenza che il tuo confessore!”. Visita a Sayan tra venti di agitazione sociale
Si parte con don Antonio per andare a visitare il simpaticissimo padre Vittorio Ferrari di Cesano Maderno, che si trova a una cinquantina di chilometri all’interno, nella splendida località di Sayan, a circa 700 metri di quota. La parrocchia è vastissima, certe cappelle si trovano ben oltre i 4000 metri e vengono raggiunte solo periodicamente dai missionari che dispongono di un fuoristrada giapponese adeguato alle strade sterrate che definire avventurose è un eufemismo. Ci inviterà ad andare con lui a 3800 metri, ma decliniamo: la strada per Acos ci è bastata… Si arriva ad Handauasi dopo
circa un’ora a bordo di uno sgangherato taxi, che però ha il pregio di
costare poco, percorrendo una strada asfaltata decentemente e quasi tutta in
rettilineo. Si tratta di una frazione di Sayan dove padre Vittorio svolge il suo
ministero. Si attraversa il ponte sul fiume Huaura e si avverte qualcosa di
strano. Grossi massi ai lati della strada, una specie di fortino che domina il
ponte e, sorpresa, l’ingresso del paese è sbarrato per cui le automobili non
possono entrare. Si va a piedi per circa 200 metri tra negozi aperti, ma senza
clienti e gente che ti guarda, ti saluta, ma non sorride. Don Antonio ci dice che nei mesi scorsi in questa località, sede di un importante zuccherificio, i dipendenti si sono sollevati contro la politica adottata dalla proprietà; ci sono stati scontri con la polizia, anche con blocchi stradali, tanto che ha dovuto intervenire perfino l’esercito con reparti antiguerriglia. Da qui i massi che sbarravano lo strade di accesso, il fortino, il blocco del ponte, con conseguenti feriti e anche un morto. Con la mediazione del vescovo di Huacho, mons. Santarsiero, assistito da don Antonio, la situazione non è degenerata ulteriormente, ma ora, a distanza di tre mesi, la faccenda non è ancora risolta e la canna da zucchero lungo le strade aspetta di essere tagliata, con grandi disagi per i lavoratori che aspettano lo stipendio da parecchi mesi. La tensione ovviamente è palpabile. Un vero peccato per questa fertilissima zona dove si produce di tutto: mais, zucchero, fragole, cipolle, patate e molto altro. (Per ulteriori particolari sugli avvenimenti si può consultare la lettera dal Perù n. 21, visitando il sito web www.sullarcadinoe.it ).
Rapido pranzo con padre Vittorio, che scopro astronomo munito di un buon telescopio. E' un buon amico di don Mario Perego, assistente dell’oratorio di Sedriano qualche decennio fa e di don Angelo Ripamonti, parroco del nostro paese fino a pochi anni or sono. Poi si va nelle località vicine a portare gli avvisi per le prossime funzioni. Si tratta di piccoli centri con allevamenti di bestiame e agricoltura ben sviluppata. Le montagne incombono, brulle e maestose, il tempo stringe e il padre ci accompagna a Sayan, cittadina con una bellissima chiesa in stile coloniale, una magnifica piazza fiorita proprio davanti alla casa parrocchiale e, soprattutto, dispone di una pasticceria famosa perfino a Huacho, nella quale Ermanna, provocata con sottile arte da don Antonio, si scatenerà più tardi nelle compere.
Incontriamo le suore, Serve di Gesù Cristo, consorelle di quelle che lavorano in parrocchia a Sedriano. Ottima accoglienza da parte loro e buon caffè all’italiana (ogni tanto ci vuole). Ermanna si reca a trovare suor Isolina che una piccola indisposizione costringe al riposo, mentre io faccio conversazione con la superiora generale, suor Laura di origine brianzola, appena arrivata in visita dall’Italia, che aspetta le sue valigie finite, non si sa come, a San Paolo, in Brasile.
Arriva poi padre Emanuele, parroco di Sayan, giovane ed energico prete della provincia di Catania che ci accompagna in chiesa, in oratorio, negli uffici della parrocchia, mentre nel campo sportivo interno, sotto l’altissimo monte San Jeronimo, che culmina con un grande picco, che al tramonto assume un bel colore rosa, un gruppo di ragazzini disputa un accanito incontro di calcio. Un traballante, a dir poco, mototaxi ci porta alla stazione degli autobus dove troviamo un passaggio su un taxi collettivo che ci riporta sani e salvi a Huacho. Processione del Señor de los Milagros In questo periodo si celebrano in tutto il Perù le ricorrenze della festa del Señor de los Milagros con grandi processioni. La stele del Signore dei Miracoli, posta su una pesantissima portantina, viene porta a spalle per le vie della città, seguita da grandi folle di devoti e preceduta dalle consorelle delle varie confraternite che, camminando all’indietro, incensano in continuazione la stele che è accompagnata da una banda musicale. La processione dura parecchie ore, i portatori compiono brevi tratti, al massimo di un centinaio di metri, venendo poi sostituiti da altri e così via fino al ritorno alla chiesa di partenza. A Huacho si sono avute tre processioni. Abbiamo assistito al primo tratto della seconda che vedeva impegnato come portantino anche don Antonio, confratello della Congregazione. In un elegante abito blu, munito di bianco cordone d’ordinanza, il nostro don di buon grado si è unito agli altri portatori e ha svolto il suo dovere per circa 150 metri, ovviamente senza forzare, per i motivi che sappiamo. La processione, partita verso le 10 dalla cattedrale, è proseguita per le strade di Huacho rientrando alle 2 del mattino successivo. Per noi una bella esperienza vista la partecipazione popolare che mette un po’ d’invidia alle processioni delle nostre parrocchie. Chiesa di San José de Manzanares e Messa al cimitero Don Ambrogio, di Gorla Minore, ci invita a visitare la nuova chiesa, da lui fondata, nel rione huachano di Manzanares, intitolata a San José. La costruzione non è ancora terminata, ma il Padre spera di poter celebrare Messa il giorno di Natale, sia pure con qualche arredo mancante. La chiesa si erge al culmine di una collina che domina la baia di Huacho, con la splendida vista che spazia sul Pacifico dall’intenso colore blu e sulla città che si stende sotto di noi. Padre Ambrogio ci spiega la filosofia che lo ha ispirato nel progettare la chiesa che ricorda in qualche modo i templi incaici che tendono, su diversi piani, ad andare verso l’alto, verso il cielo, alla ricerca di Dio. Un esempio di queste costruzioni le abbiamo viste qui vicino nel sito archeologico di Bandurria e ne vedremo di molto più grandi nei prossimi giorni visitando la zona di Cusco, l’antica capitale degli Inca. Ci complimentiamo con Padre Ambrogio e con l’architetto che ha curato la realizzazione di questa ottima chiesa, che ci rimarrà negli occhi anche quando saremo discesi in città per recarci al cimitero municipale dove don Antonio concelebrerà una Messa per la ricorrenza dei defunti. Oggi è il 2 novembre e mi dispiace un po’ di non essere a Sedriano a onorare i miei familiari deceduti, ma ho incaricato mia figlia di provvedere. Il cimitero è come i nostri: grandi colombari, ma anche campi nella terra. Colpiscono i tantissimi cognomi di chiara origine italiana scolpiti sulle lapidi. La gente è tanta, tutti portano piccoli mazzi di fiori. Il via vai è continuo. Molti si fermano ad ascoltare la celebrazione tenuta da Padre Bisso, di ascendenze liguri, che pronuncia un’omelia di tono pacato, ma fermo che fa meditare. Tre giorni e mezzo tra gli Inca e visita a Machu Picchu Don Antonio, a sorpresa, ci ha organizzato un viaggio nella culla della civiltà inca nella valle del Cusco, dove tra grandissimi monumenti di pietra, posti ad altezze vertiginose, si trova anche la “città perduta” dal nome famoso di Machu Picchu che significa Montagna Vecchia. Si parte da Lima, in aereo, alle 10 e dopo un’ora si atterra a Cusco, la bellissima capitale dell’impero degli Inca, ricca di monumenti e chiese. Siamo a circa 3400 metri e l’altitudine gioca un poco simpatico scherzo a Ermanna che accusa una forte emicrania mentre a me e alla signora Carmen, la “cuciniera” di casa di don Antonio, che ci accompagna, l’altitudine ci fa un baffo. In hotel ci offrono una bevanda di foglie di coca bollite nell’acqua e la situazione sembra migliorare. Nel pomeriggio comincia la visita ai vari siti archeologici in città e nei dintorni, dove il bus si arrampica sempre più ad altezze che possono oltrepassare di parecchio i 4000 metri. Tra monumenti mastodontici, fatti di blocchi di pietra pesantissimi che si incastrano perfettamente e vedute panoramiche dei monti circostanti la visita continua fino a sera. Per combattere il “male dell’altura” oltre alla solita bevanda, ci vengono vendute delle caramelle alla coca che qualche cosa fanno, anche se il sapore non è dei migliori: è sempre meglio che stare male! Per descrivere questi monumenti preferiamo lasciar parlare le immagini. L’ultimo giorno è dedicato alla visita di Machu Picchu. Un bus ci porta fuori Cusco e, dopo più di un’ora, ci deposita alla stazione di Ollantaytambo dove prendiamo il treno a scartamento ridotto delle Ferrovie Peruviane che in 90 minuti, percorsi alla fantastica media di 35 chilometri orari, ci lascia alla stazione di Aguas Calientes (Acque Calde), località che si trova ai piedi di Machu Picchu. Tutto il percorso si è snodato sul fondovalle, quasi sempre in curva, con molte brevi gallerie, costeggiando le montagne e il corso del fiume Urubamba. Ad Aguas Calientes si prende un bus di dimensioni ridotte che scala la montagna, ovviamente su strada sterrata e molto stretta, con tantissimi tornanti che ricordano un po’ lo Stelvio e relativi precipizi senza l’ombra di un guard rail e, dopo 25 minuti, si arriva all’ingresso del Parco Archeologico più famoso del mondo, a circa 2400 metri di quota. In alternativa c’è una scalinata, scavata nella roccia, che taglia i tornanti e arriva in cima, ma è roba per atleti e giovani che vogliono risparmiare sul costo dell’autobus. Il sito venne scoperto ufficialmente nel 1911 dal professore americano Hiram Bingham che stava effettuando tutt’altre ricerche nella zona. Una guida di nome Melchor Arteaga che, come tutti gli abitanti della zona, era a conoscenza delle rovine sepolte dalla vegetazione, accompagnò il professore a visitare il luogo e, da allora, Machu Pucchu, la “Città perduta degli Incas” divenne famosa nel mondo. L’impatto ci lascia senza fiato. Alcuni secoli di storia sono sotto di noi in uno scenario fantastico che è molto meglio visto direttamente che non attraverso foto o filmati televisivi. Una giovane guida di nome Pedro, molto preparato sull’argomento, ci accompagna. Siamo un gruppetto non molto numeroso, ma nel quale sono rappresentate diverse nazionalità: una famiglia brasiliana, una coppia di messicani, un gruppo di colombiani e una coppia di argentini che parlano alla perfezione l’italiano, un signore forse tedesco, una coppietta di giovani di nazionalità incerta e infine noi due italiani e la signora Carmen, peruviana doc. Pedro è una guida esperta, ci porta con passo sicuro per passaggi angusti e con forti pendenze, su scale di pietra per forza di cose non molto livellate. Di ogni luogo ci espone la storia, le leggende e la spiegazione di come si è potuto costruire questa città, non molto grande, se al massimo poteva ospitare circa 750 persone perché al Machu Picchu non c’è mai stata l’ombra di una pietra. Ebbene gli inca hanno portato in quota da fondovalle le pietre necessarie caricandole sulla schiena dell’animale andino per eccellenza il famosissimo llama, un elegante e agile ruminante capace anche di salti altissimi (con un balzo è passato sopra la testa di Ermanna e di una signora che era con lei, mentre con qualche patema scendevano una scalinata): al Machu Picchu vive una numerosa colonia di questi animali che, secondo Pedro, fanno anche da giardinieri brucando l’erba e tenendo in ordine i prati. Entrati in città dalla Porta Principale abbiamo visitato via via i luoghi più interessanti, compresa la famosa pietra che sprigiona calore e, secondo gli inca, energia salubre. Io ho provato a toccarla, senza molte speranze, ma sarà stata l’energia o la mia fede nel granito oppure il Voltaren, il dolore alla gamba che mi perseguitava da qualche giorno è sparito. Mah! Alla fine, accompagnati da un codazzo di llama, abbiamo visitato la grotta del condor, posto sacro per gli inca, quindi una occhiata alla costruzione astronomica dove attraverso uno stretto spazio il 21 giugno e il 21 dicembre di ogni anno il sole che sorge passa millimetricamente nel mezzo, annunciando il cambio delle stagioni, dando il via alla alla semina nei campi. Il giro è terminato con Ermanna attaccata al braccio di Pedro che scendeva una ripidissima e un po' inquietante scalinata senza agganci, con il sottoscritto dietro, che si aggrappava da tutte le parti e ad ogni gradino superato pensava: “Meno male, uno di meno”. Lima mordi e fuggi Di rientro da Cusco si visita velocissimamente Lima, la capitale peruviana fondata dal conquistatore spagnolo Pizarro circa 500 anni fa. E’ una città enorme, con 10 milioni e forse più di abitanti (in pratica un terzo dei peruviani vivono qui), dai forti contrasti urbanistici e sociali. L’amico Padre Abelardo ci preleva all’aeroporto e, dopo aver contrattato il prezzo, ci carica su un taxi. Siamo in 5 più l’autista, ma questo non sembra proprio un problema. Arriviamo al Seminario. Rapida colazione, poi, depositate le valigie, si va in centro, alla bellissima piazza d’Armi, cuore pulsante di questa città, dove ci attende la cattedrale dedicata ovviamente a Santa Rosa da Lima, la santa del Perù. Un taxi non molto rassicurante, ma guidato da un simpatico signore che conosce pure qualche parola di italiano, ci porta a destinazione al modico prezzo di 8 soles (2 euro) per una corsa che dura almeno 25 minuti. La piazza non è grandissima. ma le proporzioni architettoniche sono perfette. Al centro una bella fontana è l’ideale per fare fotografie. Da un lato il Palazzo del Governo, dall’altro quello del Governatore della città e infine la cattedrale di stile coloniale. Entriamo e subito ci assegnano una giovane guida, una ragazza dai capelli nerissimi, molto professionale e competente, che ci spiega tutto, ma proprio tutto, di questa chiesa che tra i suoi molteplici tesori d’arte annovera anche un coro ligneo opera di maestri europei veramente stupendo. I quadri e le statue, doni di re e regine, vescovi e fedeli, sono testimonianze di fede e riconoscenza per scampati pericoli, come quello di uno tsunami e dei molti terremoti che non sono mancati nel corso della storia locale. In un locale c’era un baule detto del missionario perché una volta aperto, mostrava statuine e dipinti che spiegano i principali fatti raccontati nella Bibbia. Nella cripta sotterranea si trova il famoso Pizarro, ucciso a colpi di spada dai suoi compatrioti e nascosto per anni sotto le false spoglie di un soldato. Si risale per vedere la struttura antisismica della cattedrale, che ha parti in legno, si ripassano i vari altari, si parla dei tesori inca, ma è ora di tornare a Huacho. Questa volta viaggeremo in bus per circa 150 chilometri. Padre Abelardo ci accompagna alla stazione di partenza, dove uno studente del Seminario ci ha portato i bagagli. Si tratta di un cortile in un quartiere semiperiferico di Lima frequentato da varia umanità: operai, studenti, impiegati, campesinos, signore di ogni età con ogni sorta di pacchi e… due turisti italiani. I pullman, di ottimo aspetto e molto puliti, vanno e vengono e, cosa veramente encomiabile, rispettano al minuto l’orario. Alle 19 in punto si parte. Il traffico è caotico, la velocità è ridicola, i semafori abbondano, non vorrei essere nei panni dell’autista il quale, con molta professionalità, ci deposita al terminal di Huacho alle 22 in punto, come ci avevano preannunciato in biglietteria. Il solito sgangherato taxi ci porta a casa dove un assonnato don Antonio ci apre la porta e ci accoglie così: “Ah, siete voi, ma da dove sbucate?”.
135 anni di Huacho capitale di provincia In questa settimana ricorre il 135° anniversario da quando Huacho è stata dichiarata Capitale di provincia. Grandi feste e intrattenimenti popolari sono stati indetti in varie zone della città. La Santa Messa delle ore 9,30 detta “Misa Te Deum” è celebrata dal Vescovo alla presenza del sindaco dott. Pedro Zurita Paz, delle autorità locali, provinciali e regionali e di fedeli rappresentanti delle varie istituzioni. C’era anche il coro della città in uniforme azzurra. Le cerimonie ufficiali proseguono fuori della Cattedrale nella Piazza d’Armi e noi le seguiremo da vicino con don Antonio che sostituisce il Vescovo, occupato in altre parrocchie a celebrare le cresime. Dopo i discorsi delle autorità, seguite dall’alzabandiera, si passa alla benedizione di alcune autovetture assegnate alla sicurezza civile, quindi vengono benedette alcune decine di apparecchi ricetrasmittenti, pure destinati alle varie polizie urbane. Seguono poi benedizioni varie alle tante associazioni presenti con le loro bande, che rappresentano le realtà presenti sul territorio comunale. Tra le autorità ci sono anche miss Huacho e miss Signora di Huacho, che il don conosce perché sono sue alunne del corso di italiano e così una foto ci immortala con loro. Alla fine siamo un po’ stanchi e pensiamo che sia ora di togliere le tende, ma veniamo contattati da un signore, armato fino ai denti, che ci prega di seguirlo. Veniamo fatti salire su una fuoristrada di rappresentanza dove già siede don Antonio in compagnia di una gentile signora che, scopriremo dopo, è un “pezzo grosso” arrivata da Lima, su incarico del governo centrale. C’è da benedire lo stadio comunale, rimesso a nuovo per l’occasione e don Antonio non può mancare e, a quanto pare, nemmeno noi due…
Mi ritrovo in mano il secchiello dell’acqua santa con la raccomandazione di stare attento a non versarla. Prometto di impegnarmi, ma, sarà per la mia imperizia, sarà per la strada piuttosto sconnessa anche se asfaltata, quando arriviamo allo stadio il secchiello è pieno solo a metà. Speriamo che basti. Don Antonio dice di sì e se ne va con le autorità. Non ci resta che seguirlo da lontano, tra la folla, scattando qualche foto dell’inaugurazione tra discorsi, musica a tutto volume e lancio finale di bolle di sapone, sì bolle di sapone, lanciate da una macchina che farebbe invidia ai nostri nipotini. Le bolle, incuranti della solennità della cerimonia e dei politici presenti, si attaccano da tutte le parti e perfino sul bel volto della signora che era in macchina con noi. Lo stadio è abbastanza bello, con tribune colorate di azzurro e bianco, però manca ancora l’impianto di illuminazione, fatto questo che viene sottolineato dal sindaco che, senza troppi giri di parole, chiede alle autorità del governo regionale e centrale di provvedere, magari anche tra qualche anno. Decisamente tutto il mondo, in questi casi, è paese... Di pomeriggio ci vengono a trovare Sofia e Maribel per un'intervista da pubblicare sul giornale parrocchiale e con loro ci beviamo un buon caffè peruviano, fatto con moka italiana. Non è mancato un salto al negozio di Tejesol Huacho, per i “ricordini” da portare in Italia. Ci hanno riempito una valigia intera da portare a Velasca di Vimercate dove c'è la rivendita di questi prodotti del Progetto Giunco (www.tejesol.org). Alla sera i festeggiamenti proseguono un po’ dappertutto. In piazza d’Armi, sul palco davanti alla cattedrale, si alternano gruppi musicali di varie tendenze, dal rock al pop, alla musica criolla, gloria peruviana, che riscuote i maggiori consensi. Con don Antonio cerchiamo di fare un giro tra la folla, ma dobbiamo desistere. E’ come cozzare contro un muro e non si riesce a passare, per giunta ogni due passi qualcuno riconosce don Antonio e lo saluta calorosamente. Ce ne andiamo verso mezzanotte, prima dei fuochi pirotecnici che però vedremo a casa in telecronaca diretta sul canale 26, mentre i venditori di birra, sbucati chissà da dove, imperversano e fanno affari d’oro. Il mattino successivo i festeggiamenti proseguono con sfilate folkloristiche di ogni qualità. I gruppi sono affiatati e i complessi bandistici che li accompagnano fanno da colonna sonora. Vicino a noi due signori con due llama bardati a festa fanno da richiamo turistico-fotografico al quale è impossibile resistere e il Don si fa fotografare. Lui non paga la foto perché... ha dato la benedizione al gruppo. Nel mentre, avanzando lentamente nella centralissima avenida 28 de Julio, arriva una ballerina, che danza la marinera, un ballo molto popolare in Perù, seguita da quattro gauchos a cavallo che danzano con lei, con impennate e giravolte da spettacolo circense, che avvincono il pubblico che assiste applaudendo calorosamente. Si ritorna a casa Quasi inaspettata si avvicina la data del rientro in Italia. I venti giorni previsti sono passati come un lampo. Prepariamo, con molta riluttanza, le valigie. Sua eccellenza il vescovo mi chiama e mi propone di restare ancora un po’ di giorni: conosce una dirigente della compagnia aerea con la quale viaggiamo e si offre di chiamarla per posticipare il ritorno di almeno una settimana. Siamo tentati di accettare, ma poi ci ricordiamo che sono 3 settimane che non vediamo i nostri nipotini Andrea e Arianna e i loro genitori Giovanna Maria e Matteo, che hanno finanziato il nostro viaggio come regalo per il nostro 35° anniversario di matrimonio e ogni tentennamento scompare. Ringraziamo sentitamente sua eccellenza che non dimenticheremo mai per la sua affabilità e la grande ospitalità che ci ha accordato e siamo pronti per partire. Prima però si impone un passaggio nella cattedrale per i saluti a tutti coloro che ci hanno accolto con amicizia. Baci e abbracci con le signore che collaborano con don Antonio che ci fanno pure qualche regalino. Un ringraziamento a tutti coloro che ci hanno fatto compagnia in Perù, in particolare alla signora “cuciniera” Carmen. Un ringraziamento specialissimo al nostro don Antonio che ci aveva invitato e che ha avuto molta pazienza con noi, esaudendo praticamente ogni nostra richiesta, anche la più strampalata. Grazie don, come sempre sei stato grande, ma noi lo sapevamo già. Grazie anche al dottor Pedro Zurita Paz, sindaco di Huacho, Capital de la Hospitalidad. Domani alle 15 l’autista del vescovo, l’amico Pablo, ci porterà a Lima e da lì, con un aereo della compagnia olandese KLM, via Amsterdam, dopo circa 14 ore di volo, rimetteremo piede in Patria. Ancora non sappiamo che il Pisco, una grappa peruviana molto buona, che acquisteremo al duty free per l’amico Gigi che ci aspetta alla Malpensa, ci verrà confiscata ad Amsterdam: sembra che nuove norme comunitarie proibiscano l’importazione di liquidi dall’America del Sud. Ad ogni modo è bello avere amici... in tutto il mondo. Di nuovo grazie a tutti. Ermanna e Peppino
|