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Diario dal Peru’
Ermanna e Peppino dal 20 ottobre al 10 novembre 2009
prima e seconda parte
Partenza da Sedriano
Sono le tre e mezza e suona la sveglia. Peppino si alza quasi per primo e subito avverte un dolore forte alla gamba sinistra. Non riesce a stare in piedi! Panico per tutti e due. Ci si prepara sperando che il dolore passi, ma invano. Poi Peppino dice: “Andiamo”. Ad accompagnarci c’è il nostro amico Gigi che mi aiuta in tutte le incombenze all’aeroporto. Allo sportello della KLM chiedo l’assistenza per il trasporto interno agli aeroporti e ci viene accordata. Dopo una telefonata a Suor Dalmazia sul da farsi, ne seguo i consigli e il viaggio prosegue. Atterriamo finalmente a Lima. La mattina dopo Don Antonio lo porta al pronto soccorso. Diagnosi: strappo muscolare. Una iniezione, analgesici, controllo a casa del giorno dopo. Attualmente il male è regredito, ma non sparito. Questa situazione non ci condiziona più di tanto perché qui si viaggia sempre in taxi al prezzo di mezzo euro per corsa!
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Manca una carta Siamo stranieri per il Perù e così al controllo finale manca una “carta”. Per fortuna la possiamo compilare al momento e tutto si risolve. Le valigie arrivano naturalmente per ultime e fuori dall’aeroporto di Lima non vediamo Don Antonio, ma ci vengono incontro Don Abelardo e altri sacerdoti che ci hanno riconosciuto grazie anche alle nostre foto riportate sul sito: www.sullarcadinoe.it Guida il pulmino Paulo, l’autista del vescovo, che ci porta al Seminario in attesa di Don Antonio che nel frattempo era andato in ospedale per ritirare il referto di un esame importante. Il seminario, non pensate a quello di Seveso o Venegono, e’ un caseggiato tipo condominio, in centro a Lima. L’atmosfera e’ cordiale e famigliare. Ci servono un tè che sa di camomilla con dei biscotti squisiti fatti dalla cuoca, ma il pensiero fisso di don Antonio che non arriva ci fa impensierire. Subito Padre Aberardo se ne accorge e si decide di andargli incontro in ospedale. Appena girato l’angolo ci arriva la telefonata che e’ tornato e che ci aspetta. Lo vedo sorridente e radioso: “Sono stato promosso! Un vero miracolo”. L’emozione e’ tanta e subito decide di andare in chiesa a ringraziare il Signore e siccome la chiesa e’ dedicata a Sant’Antonio ringraziamo anche lui.
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La prima serata da Lima ad Huacho
La città di Lima nel centro è come Milano, poi negli altri quartieri sembra una città orientale con grandi insegne illuminate. Il traffico delle sei e’ caotico. Verso la periferia tutte le luci si spengono ma la città continua sulle colline in un incredibile scenario natalizio, un presepe vivente, che mi concilia il sonno, mentre continua la recita del rosario con le litanie in latino. Si arriva a Huacho verso le quattro del pomeriggio, in sostanza sono ventiquattro ore dalla partenza. Peppino ed io siamo storditi e non riusciamo nemmeno ad accettare l’invito del vescovo di fermarci a cena. Non vedevamo l’ora di arrivare a casa di don Antonio.
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rimo giorno da Peruviani
Peppino non può guidare e il don sono sei mesi che non guida, ma si parte lo stesso con il fuoristrada della parrocchia. Di Pacifico l’oceano ha solo il nome perché onde fortissime lambiscono il litorale e le barche e i pescherecci ormeggiati. La spiaggia che vediamo e’ pronta per l’estate con piscine all’aperto, campi da gioco ed anche un palco per gli spettacoli. Di fronte all’oceano piccole chiesette. Una di queste, fatta edificare da un oriundo siciliano, ricorda lo scampato pericolo di uno tsunami. Un'altra intitolata “Stella Maris” era aperta perché una signora la stava preparando per la messa settimanale delle 19. Dal fruttivendolo che sostava lì davanti ho comperato un po’ di frutta e verdura. Per le strade del porto tanta gente in movimento, non per turismo, ma lavoratori, pescatori, qualche ristorante all’aperto, muratori e lavori stradali e di consolidamento.
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Il Presepe vivente
Si riparte per vedere da vicino il “presepe vivente”. Le strade sconnesse le avevo gia’ viste in Mozambico, ma qui tra dossi moderni e non, buche, lavori stradali e le strade in salita verso le colline di sabbia mi davano la sensazione di essere sull'autoscontro. Le capanne africane col tetto di paglia avevano e hanno tanto verde attorno, qui sono meno romantiche, senza verde attorno, squadrate e allineate sulla collina, da sembrare disegnate e colorate con poco colore dai bambini. Tutto cambia arrivati in cima alle collinette perché lo sguardo si allarga su un panorama mozzafiato. L’oceano ruggente scava insenature geroglifiche e il silenzio del deserto ti dà la sensazione di sentire le voci dell’universo. Il don fa notare che su alcune colline, forse tappe di altri culti religiosi, ci sono delle croci con simboli ,cristiani e non, che vengono portate anche in lunghe processioni su e giù per il deserto. |
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I pranzi Qui dal don i pranzi sono sempre occasione di incontro con altre persone. La cena è invece frugale, magari con i resti del pranzo e sul piatto per il don c’è il promemoria di Carmen, la cuoca che lavora fino alle cinque: ”Per il don, senza sale”. Il menu’ varia: se ci sono preti italiani allora e risotto alla milanese e ossi buchi, per i preti peruviani la pasta asciutta e il cebiche, ma non chiedetemi la ricetta. Ripartono tutti sorridenti e rilassati. Il segreto sta nel clima di famiglia che il don cerca di instaurare sempre. |
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Don Antonio
“Sono stato promosso” dice a tutti quelli che manifestano apprensione per la sua salute, ma loro insistono con parole e gesti affettuoso di riguardarsi. Un po’ ha rallentato se non altro per farci compagnia. Segue una dieta senza sale e poca acqua e così e’ visibilmente dimagrito, ma è sereno ed attivo quanto basta. La sua casa, con giardinetto, e’ adiacente ad altre casette unite tra esse da un muretto lungo tutta la via, non asfaltata. Arredata in modo spartano e’ però molto funzionale. Se poi e’ lui ad aprire allora sembra una reggia. |
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Cenetta finale Don Antonio mi presenta come “hermana” che significa sorella o suora. Poi presenta il cognato Peppino, che significa “signore” “don”. Immancabilmente si fanno ripetere il mio nome. E io rispondo Ermanna con due “ enne” e tutti si divertono a ripetere la pronuncia con due enne. Alla prossima puntata! Ermanna |
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cronista Peppino
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Visita
alla fattoria con una simpatica famiglia
Invitati da una famiglia di amici di don Antonio, andiamo a pranzo non molto lontano da Huacho, in una fattoria con tanto di mucche, cavalli, asini, cani, conigli e chi più ne ha più ne metta. La compagnia è piacevole, le persone simpatiche e il pranzo e’ di ottime specialita’ peruviane. La famiglia si compone di 6 persone: il papa’ che si occupa dell’azienda, la mamma, che fa la maestra e quattro figli, tre femmine e un maschio. Si passano alcune ore in compagnia e poi i due figli maggiori, una ragazza di 14 anni e un “chico” di dodici se ne vanno in paese a “fare le prove”. La mamma spiega che il giorno dopo, domenica, ci sarà un grande spettacolo di danze a livello nazionale di ballerini dai 3 ai 18 anni e i suoi figli maggiori si esibiranno. Insiste perché anche noi vediamo queste esibizioni. Promettiamo di esserci. |
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Visita da padre Carlos e i seminaristi
Oggi e’ domenica. Dopo la Messa in Cattedrale, andiamo a Huaura dove saremo ospiti dell’amico Padre Carlos, conosciuto l’estate scorsa in Italia, quando venne a Leggiuno sul Lago Maggiore per un mese di studi con il confratello Padre Abelardo. Scopriamo qui in Perù che abbiamo accompagnato in giro per la Lombardia due rettori di seminario, Padre Abelardo a Lima, Padre Carlos a Huaura. L’incontro e’ festoso e viene celebrato con un caloroso abbraccio. Padre Carlos ci fa visitare il Seminario, molto bello, costruito recentemente e inaugurato dal Card. Tettamanzi. Usciti nel cortile ci si ritrova in un grande cantiere edilizio per una chiesa e un’altra ala per i vari spazio che necessitano al seminario. Ci vorrebbero qui Gelmini e Bruno e quindi scattiamo foto del cantiere. Ci offre un pranzo a base di pesce,il “lenguado” che è ottimo, e tante altre verdure andine. Alla fine un complesso musicale formato da alcuni seminaristi ci allieta con musiche delle Ande. Il suono dei pifferi sovrapposti che ben conosciamo anche in Italia ci fa sentire i brividi. Ricambiamo con due palloni da calcio che gli studenti apprezzano molto. Con padre Carlos rievochiamo le passeggiate estive, tra cui la visita al San Carlone di Arona.
Suonano alla porta: è la mamma dei due ballerini che è venuta a prenderci. Salutiamo Padre Carlos che rivedremo presto e veniamo accompagnati in una specie di palazzetto dello sport, ovviamente scoperto perché qui non piove mai. Iniziano le sfilate delle compagnie di danza. Alcune, ci dicono, vengono veramente da molto lontano. I bambini sono bellissimi nei costumi locali. Man mano che l’età cresce sono ancora più sfarzosi e coloratissimi. Le esibizioni cominciano, i genitori fanno un tifo da stadio, i due giudici non sono mai d’accordo sul voto, dato in 100 centesimi, pero’ il giudizio non si discosta poi molto e il pubblico non contesta. Arriva il turno dei “nostri” ragazzi. Prima il maschio, vestito da campesino. Il suo punteggio non arriva a 90, pero’ i suoi genitori e nonni se lo mangiano con gli occhi. Poi la “chica” che porta uno sgargiante costume pieno di vivaci colori. Questa compagnia riesce a ottenere 98 da un giudice e 100 dall’altro. Si scatena allora una “fiesta” sugli spalti, proprio alle nostre spalle con suoni di raganelle, lanci di petardi e lanci di coriandoli finissimi che ci riempiono i vestiti e i capelli. La mattina dopo ne troveremo qualcuno nel letto. Davvero uno spettacolo entusiasmante. Don Antonio se n’era già andato a casa a riposare un po' prima di celebrare messa in cattedrale. Il papà dei ballerini, raggiante, ci riaccompagna a casa. E' già buio perché qui siamo 12 gradi sotto l’equatore e prima delle ore 18 è già notte.
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Bandurria:
sito archeologico praticamente in casa
Si riparte un pomeriggio con don Antonio al volante, è da molto tempo che non guida perché qui in città ci si può muovere con i taxi, alcuni dei quali autentici catorci, al modico (per noi) prezzo di 2 soles a corsa che corrispondono a circa 50 centesimi di euro. Ci sarebbero anche delle motocarrozzette molto pittoresche, ma il don ce li ha sconsigliate. Ne proveremo una nei giorni seguenti quando visiteremo la bellissima località di Sayan, in tempo per apprezzare il consiglio… Con don Antonio non sai mai cosa aspettarti, ma alla fine ne vale sempre la pena. Ci porta poco fuori Huacho, in pieno deserto, con un sole finalmente caldo, quasi fastidioso. Davanti a noi l’oceano Pacifico oggi stranamente pacifico davvero. Lo guardiamo dall’alto, abbagliati dal colore blu. Alle nostre spalle il sito archeologico di Bandurria con scavi tuttora in corso ci ricorda che questa zona era abitata già oltre tremila anni prima di Cristo. Un posto incantato, a mio parere, che ci fa venire qualche brivido quando la giovane “guida”, Dario, che partecipa ai lavori e che si e’ offerto di accompagnarci nel percorso guidato, ci dice che hanno ritrovato poco tempo fa i resti di tre persone sacrificate agli dei del tempo. Ci dicono anche di visitare il ben più noto sito di Caral, ma non so se troveremo il tempo. Certo non ci aspettavamo di trovare un sito archeologico praticamente in casa… Si torna in Huacho a visitare la casa delle suore che vivono nel barrio “Invasione”. Tanti bambini che gioiosamente giocano a calcio proprio in mezzo alla strada , però la nostra fuoristrada riesce a passare.
Le suore ci mostrano il loro refettorio per bambini e mamme malnutrite, un loro progetto che si realizza con l’aiuto di due volontarie cuoche e finanziato anche da benefattori italiani,tra i quali i podisti di greco, il tutto molto bello, pulito e funzionale. La direttrice del refettorio, una vulcanica signora peruviana, si lamenta che non hanno fondi per acquistare un tanque da mettere sul tetto per conservare l’acqua che qui arriva con le autobotti, mentre la corrente è il primo servizio che viene erogato dal Comune. Don Antonio, sempre concreto in questi casi, mi guarda e poi con un gesto chiarissimo mi invita a provvedere. Eseguo immediatamente e il sorriso della signora e’ qualcosa di impagabile… Riportiamo a casa le suore. Questa volta i bimbi hanno finito di giocare a pallone, ma la strada e’ impraticabile per il nostro fuoristrada perché ora sono gli adulti a giocare a pallavolo con tanto di rete nel bel mezzo della strada. Pazienza. Salutiamo le suore e torniamo a casa a prepararci per una cena con il gruppo dei discendenti degli italiani che frequentano il corso di italiano, diretto da don Antonio. Una bella serata con cena a base di lasagne con megatorta finale in onore di Ermanna che il giorno seguente compirà gli anni. Gli amici lo hanno saputo e hanno provveduto. Si finisce la serata cantando belle canzoni di una volta che da noi ormai si sentono raramente, ma qui vanno forte: “Volare, Non ho l’età, Mamma, Al di là, ecc.”. Stranamente ho cantato anch’io, maltrattando non poco le canzoni.
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Pizza
con don Ambrogio, Pilar e Massimo
Oggi e’ il compleanno di Ermanna. Qui ormai lo sanno tutti. Il vescovo, monsignor Antonio Santarsiero, italiano di Potenza, decide di celebrare una “messa di compleanno” per la mia amata mogliettina. Qui si usa celebrare queste ricorrenze in questo modo. Avevamo assistito il giorno prima a una cerimonia analoga in onore dell’alcalde (il sindaco) di Huacho. Una cosa mai vista: la cattedrale strapiena, la messa molto partecipata e alla fine almeno sette - ottocento persone hanno reso omaggio all’uomo politico che li aspettava in prima fila davanti all’altare. Strette di mano e abbracci a non finire. Penso che una accoglienza così i nostri sindaci se la possano solo sognare. Lasciamo il sindaco con i suoi elettori e ci trasferiamo al ristorante “La Mafia”. Il nome la dice lunga sulle origini del proprietario, un simpatico e baffuto signore che abbraccia don Antonio chiedendo: “Come sta il malatino?” e ci stringe vigorosamente la mano. Il locale è in posizione strategica davanti al mare, che però non si vede molto, data l’ora tarda. Ci attendono don Ambrogio, parroco della chiesa dì Jesús Divino Maestro, insieme con il cooperante Massimo, brianzolo, con la sua fidanzata Pilar. Ottima serata conviviale con bruschette quasi all’italiana e due pizze giganti veramente buone. Mi accingo a regolare il conto, ma i nostri amici mi fermano. C’è una borsa tipica, coloratissima, artigianato del popolo del giunco, progetto italo peruviano “Tejesol”, per Ermanna dono di don Ambrogio, Massimo e Pilar, ma, dulcis in fundo, salta fuori una megatorta che fa brillare gli occhi alla festeggiata che non ne può più di assaggiarla. Anche la torta e’ un regalo dei nostri amici per “ Ermana, scrive Pilar, che sta imparando un poco l’italiano. Per finire il titolare del ristorante ci offre pure un limoncello. Meglio di così…
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Barranca
fino al mare
Decisamente dobbiamo essere simpatici a sua eccellenza mons. Antonio Santarsiero, vescovo di Huacho perché ci giunge dall’arcivescovado un invito a essere pronti , insieme a don Antonio, per una escursione a Barranca, cittadina di mare, a circa 50 chilometri da Huacho. Si presenta l’autista, Pablo, a bordo di un fuoristrada “Nissan” molto elegante e, in compagnia del vescovo e alcuni seminaristi molto giovani, si parte. Raggiungiamo la famosa Carretera Panamericana,che corre appena fuori città e ci dirigiamo verso Nord. La strada e’ perfetta, ben asfaltata, a tratti a due corsie per senso di marcia, con lunghi rettilinei che invitano alla velocità, ma Pablo mi dice che e’ meglio non esagerare perché le pattuglie della polizia stradale, piazzate nei punti strategici, eseguono controlli scrupolosi e le infrazioni per alta velocità comportano sanzioni pecuniarie che possono arrivare fino a oltre 400 soles (circa 100 euro) che sono una cifra veramente esorbitante per i lavoratori peruviani. E’ anche vero che la multa la pagherebbe monsignor vescovo, quale intestatario di tutte le macchine che vengono usate anche dai missionari della diocesi, ma è meglio non dare di questi problemi. Si arriva a Barranca, città con strade strette e intasate dal traffico dei famigerati moto taxi che imperversano dappertutto e per i cui guidatori il codice della strada e’ un optional. Ci aspettiamo di visitare la chiesa e la casa del parroco, ma Pablo si dirige nel garage del signorile albergo Chavin. L’hotel e’ fornito pure di piscina all’aperto con acqua non molto fredda, ma e’ meglio girare alla larga. Entriamo preceduti da sua eccellenza che viene accolto con tutti gli onori dalla titolare, una signora minuta dall’eloquio torrenziale e da tutto il personale. Il vescovo si siede a capotavola e ordina per tutti. Un pranzo veramente ottimo a base di pesce “Lenguano” e poi ci viene servita una sorta di limonata, agrodolce, squisita adatta a bevanda per il pranzo. Veniamo congedati dal vescovo che si ritira invitandoci a visitare le spiagge locali. Portati da Pablo, arriviamo in una spiaggia ancora non molto frequentata perché la stagione è all’inizio, ma l’abbondanza di bar, ristoranti e alberghi, anche con piscina, lascia pochi dubbi sull’affluenza di turisti durante la stagione balneare. Il Pacifico non e’ molto arrabbiato, ma le onde sono abbastanza alte per alcuni surfisti che scivolano sull’acqua. La baia e’ molto ampia ed e’ divisa a metà da un promontorio dominato in cima dalla mastodontica statua di Cristo Redentore, ideale per scattare foto. Il posto oggi non è molto frequentato e quindi è a nostra disposizione per guardare dall’alto il Pacifico e avere una piccola idea della sua vastità. Torniamo in città, per le strade ci sono segni del passaggio della processione del Senhor de los Milagres: disegni floreali per terra e tanti altari celebrativi davanti alle case. Monsignore e’ pronto e quindi si torna a casa con un invito per un pranzo nella sua casa, appena possibile, prontamente accettato.
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Acos
sulle montagne con brivido
Siamo tutti e tre invitati dal vescovo per una escursione sulle Ande nella località montana di Acos tra le montagne selvagge della Cordigliera Andina. Questa volta è Don Antonio che non può venire con noi. Si salirà fino a 1500 metri e i dottori glielo hanno proibito. La compagnia è composta dal Vescovo, con grande sombrero di paglia, la direttrice di casa del vescovo, la napoletanissima suor Marianna dall’eloquio inconfondibile, due suore italiane che sono qui per aprire una casa a Pativilca, 60 km. a nord di Huacho, alcuni giovani seminaristi e noi due. Al volante il nostro amico Pablo al quale chiedo come sarà la strada. Mi risponde che sarà buona per circa la metà, il resto sarà sullo sterrato. Omette, bontà sua, di dire che ci saranno degli strapiombi da mozzare il fiato, ma di questo me ne accorgerò da solo, per di più proprio dalla parte dove sono seduto. A Huaral si aggrega un’altra macchina guidata dal decano padre Leandro con a bordo il vicario episcopale padre Alexandre e un gruppetto di altri giovani seminaristi. La strada è discretamente asfaltata per cui possiamo correre un pochino, ma, di colpo, compare lo sterrato e ci accorgiamo di essere in mezzo ad altissime montagne brulle, con enormi massi alle pendici che sembrano incollati, ma danno l’impressione di cadere da un momento all’altro. La strada serpeggia ai bordi dei monti, a fondo valle scorre il fiume Chancay ricco di trote. Per fortuna il traffico è scarso, ma le curve cieche abbondano e Pablo deve lavorare molto di volante e di clacson per segnalare il nostro passaggio. Si continua così per un’ora, il sole è caldo, il Vescovo è un affabile conversatore e il paesaggio selvaggio fa il resto, quando mi accorgo che la macchina ha rallentato molto e credo di aver intravisto Pablo farsi il Segno di Croce. Improvvisamente capisco il perché: stiamo per passare un tratto strettissimo, naturalmente in curva continua, dove un veicolo come il nostro passa millimetricamente. Lo strapiombo è proprio sotto di me e mi affascina, ma un brivido mi assale e mentre Ermanna si preoccupa, lei che è dalla parte della montagna, guardo in basso e penso già che dovremo ripassare di qui al ritorno, sperando che non sia buio. In breve: sono stati i duecento metri più lunghi della mia vita. Finalmente arriviamo. Il paese è piccolo, selvaggio, ma grazioso, e ci sono pure alcuni negozi per le popolazioni che abitano più in alto, ma molto in alto: ci sono persone fin quasi ai 4.500 metri. Ci accolgono tre suore, insieme con il parroco e il coadiutore. Le loro case sono molto belle con un giardino fiorito. La zona dispone di una agricoltura sviluppata, specialmente per la frutta, in massima parte ottime mele che vengono esportate. Il Vescovo dà la libera uscita ai seminaristi che se ne vanno alle terme con acqua calda, a quasi un’ora di viaggio da qui ma, particolare non trascurabile, a circa 3000 metri. Torneranno dopo due ore felici e contenti. Il parroco, padre Rolando, dal sorriso solare, ci mostra la sua casa, pulita e ordinata, il suo computer, che però non ha internet, e ovviamente qui non c’è copertura per i cellulari. Un filmato nel computer ci mostra padre Rolando nei suoi spostamenti nella sua vastissima parrocchia. Lo vediamo tra una processione e l’altra ed anche danzare sulla neve del monte più alto della zona, 5200 metri. Tornano i seminaristi, si va a tavola. Suor Marianna ci delizia con i suoi manicaretti, le suore con le loro specialità quindi il Vescovo ci ordina di andare a riposare. Deve ascoltare i padri e le suore, era venuto qui per questo. Il tempo passa, alle 18 sarà buio. Io sto pensando alla strettoia. Speriamo di partire con l’ultima luce. Non sarà così. Il Vescovo si prende tutto il tempo necessario, poi quando mancano pochi minuti alle 18 e il sole si è nascosto dietro i monti si parte. Per tirarci su il morale Sua eccellenza ci dice che è meglio partire all’imbrunire perché di notte ci potrebbe essere pericolo di assalti da parte di malintenzionati. Guardo fuori e vedo solo buio pesto. Forse ha voluto prenderci un po’ in giro. Pablo accende il motore. L’altra macchina ci precede di qualche minuto e passerà prima di noi nella strettoia. Finalmente giungiamo al punto critico, Pablo fa di nuovo il segno di croce e la macchina fa il resto egregiamente, ma Ermanna, che è dalla parte dello strapiombo, mi guarda con occhi indefinibili, guarda solo verso l’alto e, siccome è buio, la paura è inferiore perché non vede. Poi si tira un sospiro di sollievo quando la strada di nuovo si allarga. Per ringraziare dello scampato pericolo viene detto il Rosario. A casa si arriva verso le otto, dopo 170 chilometri, gli ultimi dei quali percorsi sulla panamericana, dove Pablo è costretto a compiere dei veri e propri slalom, tra macchine e camion che viaggiano sulla corsia di sorpasso e non si schiodano anche se dietro arrivano macchine più veloci, quindi sorpasso a destra e via. Sembra che sia la normalità. Mah! Peppino |
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