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Peso forma a quota 85, nei limiti il controllo mensile della fluidità del sangue, cammino bene in compagnia dei miei due chiodi e soprattutto comprendo il peruviano e mi faccio capire “bastante”.

Le prime impressioni sono in quattro articoli precedenti, pubblicati qua e là: la corsa in Africa, la croce colorata nel cielo del Sud, la Nottebuona di Natale 2007 e notizie da 10 gradi sotto l’equatore.

      La “mia” cattedrale

 


Dal Duomo di Milano alla Cattedrale di questa cittadina, con la Chiesa del 1970, ricca di 15 statue devozionali, ma niente di artistico. Un altare e un confessionale mi vedono ogni giorno. Delicato, misterioso, sorprendente è il contatto con chi viene a dirti le sue fatiche con Dio e con gli altri, a volte con lacrime a volte con sorriso. Grande cosa è ascoltare e trasmettere i miei poveri consigli e soprattutto poter alzare la mano a nome di Dio per dire: “Sta tranquillo, Lui ti ama, ti perdona, ti incoraggia”. Ma perché si fidano di me, bianco straniero appena arrivato da lontanissimo? Parole di Gesù: “Su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. Lui è sempre vivo in ogni angolo del mondo.

Ogni mattina celebro la Santa Messa alle 7.30 con un’ottantina di persone, mentre alla domenica quella delle 18.30 con oltre seicento fedeli. Ora sono più calmo e nelle prediche posso qualche volta alzare gli occhi dai fogli scritti e tornare a fare qualche gesto “all’italiana”.

La celebrazione della Messa segue semplicemente il rito romano, con nessuna variante “all’africana”. Ma ci sono Messe speciali, su richiesta dei fedeli: per dire grazie, per la salute, per un compleanno, in onore di un santo come Giuda Taddeo (per le cose impossibili, come il lavoro), per una confraternita con la statua ornata, per la chiusura delle scuole, per l’anniversario dell’Università o i 113 anni della nascita di un politico e soprattutto per un defunto nel suo primo mese o primo anno dalla morte.  In questo ultima celebrazione “per un defunto” può cambiare tutto, anche se non riesco a capirne il valore culturale profondo. Su prenotazione e offerta può essere detta anche in un orario diverso, nei giorni feriali. C’è una partecipazione che varia da 50 a 500 persone, a secondo del “valore” del defunto e della sua famiglia.

Venerdì 22  febbraio, ore 18 al tramonto del sole sul mare di fronte alla Cattedrale. La prima fila è occupata dai parenti stretti di un uomo morto da un anno. Vedo davanti quattro signore vestite di nero, due giovani con camicia bianca, un bambino, due uomini in nero, tutti con volto di dolore e quasi impassibili, mentre nella navata si sistemano circa 400 persone di parenti, amici e vicini di tutte le età. La musica cambia proprio perché c’è un complesso vero di “messicani” con i loro vestiti ricamati color oro o argento, posizionati con la tastiera, un violino, una chitarra, tre trombe e una cantante. Tutti i canti religiosi sono affidati a loro e si vede che sono competenti seguendo davvero i momenti liturgici, con potenza di voci e suoni. L’unico ad essere sorpreso e distratto sono io, anche se tutto poi si svolge secondo i canoni con il tastierista che fa anche da voce guida. Si sente meno la partecipazione salire dal centro, ma è pur sempre una Messa di dolore. Tre volte devo ripetere il nome del defunto e nella breve predica cerco di spiegare al meglio il Vangelo del giorno. Un numero discreto riceve la Comunione, mentre noto qualche movimento tra i fedeli, come per prendere il posto. Nessuno scappa via dopo la benedizione finale, anzi … Tre persone si avvicinano all’altare con tre scatoloni che sono invitato a benedire con l’acqua santa perché contengono quadrettini con la foto ricordo del defunto da distribuire a tutti i presenti che già stanno formando una fila nel corridoio centrale. Qui mi sembra di vedere il momento più importante: ad uno ad uno passano a fare le condoglianze a chi occupa la prima fila. Sono contenuti gli abbracci, solo qualche parola e poi la consegna del ricordo benedetto, mentre le trombe a pieno volume, per almeno un quarto d’ora,  riempiono di forti armonie la Chiesa. Tutto è fatto con calma, poi si svuota la Chiesa e si riempie il salone parrocchiale che sta accanto per il rinfresco: la vita di famiglia riprende così il suo cammino di speranza.

I “miei” ospedali

Mi sta tornando utile l’esperienza personale vissuta negli ospedali di Niguarda e di Giussano. Mi sono stati affidati due ospedali della città, con dimensioni da circa 200 posti letto ciascuno. Le strutture e attrezzature mi sembrano discrete, con tanto di pronto soccorso, ambulatori di analisi e le sezioni fondamentali di ginecologia, traumatologia, chirurgia e medicina. In un ospedale ho passato il mio controllo periodico al cuore e mi hanno trovato bene. Ricambio dando una mano spirituale, un aiuto alle fatiche dei pazienti e parole di conforto ai parenti. Con tutti i debiti permessi dell’amministrazione ospedaliera sono accompagnato in tutti i reparti da una associazione di dame volontarie che ha come motto: “Vivere per servire”. Delicatezza nell’entrare in ogni stanza (l’accoglienza è serena), un saluto, una preghiera insieme e poi un segno di croce sulla fronte di ogni paziente, con una goccia di acqua santa. Si sfiorano tanti casi umani passando dal reparto di chi soffre tanto a quello di chi gioisce, perché c’è un bimbo nuovo di poche ore lì nello stesso letto di una giovane donna felice. Così ho amministrato due sacramenti, uno così lontano dall’altro: il battesimo della piccola Melanì e l’Unzione degli infermi all’anziano Luis. Non avevo con me nient’altro che l’aspersorio quando vidi una piccola con fremiti, forse di meningite. Una dama chiese con finezza alla mamma in pianto se avesse voluto il battesimo. “Devo chiedere al papà, tornate più tardi”. Era affollata la stanza quando poi versai tre gocce di acqua sulla fronte di Melanì per dirle che era Figlia di Dio. Mi è sembrato che si fossero calmati i suoi tremolii e che i suoi due dentini esprimessero un leggero sorriso. Un’ora dopo era in viaggio verso l’Ospedale di Lima; ora so se ce l’ha fatta.

E’ stato più sereno l’incontro con Luis, un cattolico di vecchio stampo, sceso dalle Ande per essere operato di prostrata. Era stato lui a mandare le figlie a cercare il Cappellano. Avevo con me la borsetta con l’Olio “milanese” e il libretto in spagnolo. In camera di rianimazione Luis mi aspettava pronto, tra una cannuccia e l’altra, a fare il segno della Croce. Quell’Olio l’ha davvero aiutato a sopportare il dolore, a passare attraverso l’operazione e a tornare ai suoi monti per la gioia della sua famiglia.

Già prevedo festa grande quando nell’Ospedale Regionale verrà il Vescovo a celebrare per la prima volta la Messa di Pasqua nell’Auditorium, con il Direttore, medici, infermieri, il gruppo Dame,  il coro e naturalmente gli infermi. Nell’Ospedale dell’Assicurazione (tipo Mutua), fondato nel 1940,  sarò io a celebrare la Messa con la distribuzione degli ulivi nella Domenica delle Palme, nella Chiesetta interna che non vede un cappellano da 15 anni!

 
Notizie veloci

E’ estate, ho toccato l’acqua dell’Oceano Pacifico, senza riuscire a nuotare per le onde forti. La spiaggia è un tutt’uno con il deserto dall’arena rossa e le dune che si allungano per chilometri e chilometri.

Carnevale è vissuto soltanto con il lancio di gavettoni d’acqua contro le ragazzine e le signorine, per tutto il mese di febbraio, tanto qui fa caldo  e la temperatura arriva a 27/29 gradi.

Carletto, un volontario di 22 anni di Brescia, passa due giorni qui, prima di raggiungere per la prima volta la missione a Nord del Perù. Bello il suo sorriso e entusiasmo.

L’eclisse di luna non si è visto, c'erano troppe nubi quella notte. Mi è spiaciuto.

Trenta giovani cileni predicano il Vangelo “porta a porta” in tre parrocchie della città, con un sorriso e un entusiasmo semplice e coinvolgente.

Notizie italiane rimbalzate qui sui giornali: il no al Papa di una università romana e lo scontro fisico tra due senatori nel giorno della caduta del governo.

Suoni di giorno e i notte. Trascrivo le impressioni di un sacerdote amico.

”Provo a descrivervi: peh… peh… peh… peh… è il ragazzo che vende i gelati; dhelen…dhelen…dhelen non sono le campane della chiesa, ma stanno raccogliendo la spazzatura; podi podì…è la macchina che chiede strada; bip bip… poh...poh…pereppeh…na…na…na. sono i tassisti che si offrono per un passaggio; fhit… fhit… anche di notte…ma niente paura è il vigilante che veglia sul nostro sonno; bum, bum, bum… sono i botti con fuochi di artificio per le tantissime feste dei santi”.

Visito, alla periferia della città, due piccole Suore di Foucauld che vivono nel deserto popolato da povere case di fango, con tetti solo di stuoie di giunco, senza acqua né luce. Le suorine  hanno grande spirito e si preparano a dare ogni giorno un pasto a 165 bambini dai 3 ai 6 anni. Porto a loro un contributo con le offerte da me ricevute prima di partire.

Suona il campanello alle ore 21.30. Chi è? Sono il Vescovo, posso entrare?  Non mi è mai capitata una visita così in Italia, sarebbe bella, però!

Tutto bloccato e scorre sangue

E’ vero che si impara una lingua leggendo i giornali, ma certe parole fanno male. “Paro, huelga, bloqueo, saqueos, militarizan, fallecido, piquetes, empatos de balas... paro agrario cobrò cuatro victimas”. Tre giorni di fuoco con il sentore che qualcosa di grosso stava succedendo già lunedì 19 febbraio, quando il gruppo dei missionari italiani ha dovuto rinunciare a una settimana di studi sui problemi del Perù perché “l’autostrada era bloccata dai sassi degli agricoltori in rivolta”. I problemi sono entrati direttamente nella nostra vita, costringendoci a cercare di capire come qui nascono le tensioni e come si comporta l’autorità politica e la polizia. Tre giorni con notizie e contro notizie, con rumori diversi da quelli scritti sopra, perché era tutto vero con lacrimogeni e colpi di arma da fuoco. Quattro sono i morti. Chissà se davvero ora si è aperto un tavolo di trattative, per un vero dialogo!    

Il saluto peruviano

Mi dava fastidio il modo con cui mi accoglievano, stringendomi  la  mano e dandomi colpetti sulla schiena. Ora mi è chiaro. Si fa così: ci si avvicina a una persona, si stringe la sua mano destra, si accenna un bacio sulla sua guancia destra, mentre la si avvolge con il braccio sinistro che supera la spalla per dare come tre carezze – colpettini sulla sua schiena. Tutto con delicatezza mentre si dice qualche parola o di buenos dias o di benvenuto o di condoglianza o di augurio.

Dopo 100 giorni mi fa piacere sentirmi salutare per strada, magari proprio con questo simpatico modo di dirti che tu sei parte della loro famiglia peruviana.

don Antonio Colombo

Huacho, 2 marzo 2008

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